di Massimo Campi –
La prima guerra mondiale, nota anche come Grande Guerra fu un conflitto che coinvolse le principali potenze mondiali tra il luglio del 1914 e il novembre del 1918 e fu il più grande conflitto armato mai combattuto fino alla seconda guerra mondiale. Il conflitto ebbe inizio il 28 luglio 1914 con la dichiarazione di guerra dell’Impero austro-ungarico al Regno di Serbia in seguito all’assassinio dell’arciduca Francesco Ferdinando d’Asburgo-Este, avvenuto il 28 giugno 1914 a Sarajevo. La guerra si concluse definitivamente l’11 novembre 1918 quando la Germania, ultimo degli Imperi centrali a deporre le armi, firmò l’armistizio imposto dagli alleati. Alcuni dei maggiori imperi esistenti al mondo – tedesco, austro-ungarico, ottomano e russo – si estinsero, generando diversi stati nazionali che ridisegnarono completamente la geografia politica dell’Europa ed anche il sistema economico dei nuovi stati. Il progresso tecnologico ebbe una grande accelerazione durante gli anni del conflitto mondiale, l’industria si dovette spesso convertire alla fabbricazione bellica ed alla fine del conflitto molte fabbriche meccaniche ebbero importanti sviluppi. La motocicletta e l’automobile rappresentavano il futuro dell’industria, il bisogno di comunicazioni e di mezzi di locomozione era primario per la rinascita economica dei nuovi stati. L’Italia era stata contagiata dal progresso industriale nuove iniziative erano nate soprattutto nel nord del paese, piccole fabbriche erano diventate industrie per soddisfare le esigenze belliche ed ora dovevano riconvertire la loro produzione alle nuove esigenze, mentre nuove iniziative sarebbero presto nate sull’onda del progresso.
Fiat, la fabbrica di Torino
A Torino l’11 luglio 1899 era stata fondata da una dozzina tra aristocratici, possidenti, imprenditori e professionisti torinesi una fabbrica per la produzione di automobili che verrà denominata FIAT, acronimo di Fabbrica Italiana Automobili Torino. Dopo un primo periodo di difficile sviluppo, segnato da diverse ricapitalizzazioni e da modifiche nella composizione del capitale azionario (non sempre in maniera pacifica ma anche sfociate in processi clamorosi per l’epoca), la proprietà della casa automobilistica viene assunta quasi integralmente da Giovanni Agnelli. Al 1902 risale la prima affermazione della casa nelle competizioni automobilistiche, con alla guida Vincenzo Lancia che si aggiudica una gara locale piemontese, la Torino Sassi-Superga.
Alla ripresa produttiva post bellica nel 1919 l’azienda torinese presenta la Fiat 501 a uso civile, di cui riesce a mettere sul mercato quasi 45.000 unità, ma si impegna anche nello sport e nel primo Grand Prix d’Italia svolto nel 1921 su un tracciato stradale a Montichiari, vicino a Brescia, la Fiat è al via con la 801 che monta un motore di tre litri e raggiunge una velocità di oltre 180 km/h.
A Milano c’è l’Alfa Romeo
A Napoli era stata fondata nel 1906 la Società Italiana Automobili Darracq, ma alla fine dello steso anno era stata trasportata a Milano con la costruzione di uno stabilimento in zona Portello edificato su un vasto piazzale confinante con le aree che avevano ospitato l’Expo 1906. Le difficoltà però continuarono, le vendite si dimostrarono insufficienti a garantire la sopravvivenza dell’attività produttiva ed alla fine del 1909 la società fu posta in liquidazione. Fu poi rilevata da alcuni imprenditori lombardi, che la acquistarono nel 1910 insieme a Ugo Stella, che partecipò alla transazione e venne rinominata ALFA acronimo di “Anonima Lombarda Fabbrica Automobili”. Il nome scelto richiamava la prima lettera dell’alfabeto greco, volendo sottolineare l’inizio di una nuova avventura industriale.
A capo della progettazione venne assunto Giuseppe Merosi, un progettista piacentino con all’attivo diverse esperienze nella nascente industria automobilistica italiana. Il debutto nelle gare avvenne nel 1911 con l’ALFA 24 HP ed il primo successo arrivò nel 1913 grazie a una versione da competizione della 40-60 HP, alla Parma-Poggio di Berceto si classificò prima nella propria classe e seconda nella graduatoria assoluta.
Prima dell’entrata in guerra dell’Italia, le vendite dell’ALFA aumentarono gradualmente ma con lo scoppio del conflitto la casa automobilistica milanese entrò in crisi per la stagnazione del mercato interno dell’auto e per l’interruzione delle esportazioni. La situazione precipitò con l’entrata in guerra dell’Italia e per evitare di trovarsi in una situazione in cui la fabbrica non avrebbe prodotto più utili, la proprietà decise pertanto di vendere l’ALFA alla Banca Italiana di Sconto che individuò in Nicola Romeo, un ingegnere meccanico di Sant’Antimo, il potenziale acquirente che avrebbe potuto gestire e, in seguito, acquistare l’ALFA.
L’Ing. Romeo aveva fondato nel 1911 a Milano una società per la produzione di macchinari destinati alle attività estrattive e con lo scoppio della guerra aveva deciso di entrare nel business delle commesse militari ottenendo nel luglio del 1915 un rilevante ordinativo per il Regio Esercito, che prevedeva la produzione di munizioni. Dato che la società non possedeva le risorse tecniche ed il personale per soddisfare questo ordine, Nicola Romeo decise di rilevare l’ALFA entrando nel capitale societario con l’acquisto di alcune azioni, acquisendo il controllo della fabbrica ed iniziando a produrre munizioni, motori aeronautici ed attrezzature da miniera. Terminata la guerra, le commesse militari si esaurirono e Romeo decise di riconvertire le attività dell’azienda nella produzione di autovetture a uso civile sfruttando i pezzi rimasti nei magazzini da prima del conflitto, intanto cambia anche il nome della ditta in Alfa Romeo.
Tra le nuove vetture Merosi realizza la ALFA RL, sulla versione da competizione esordì infatti il simbolo del quadrifoglio Alfa Romeo che, da allora, sarebbe comparso in tutte le attività competitive della casa milanese e sulle versioni più sportive delle sue vetture. Il quadrifoglio fu dipinto dal pilota Ugo Sivocci sulla propria vettura in occasione della Targa Florio del 1923 per motivi scaramantici, dato che il modello era iscritto alla competizione con il numero 13; con questo simbolo il pilota salernitano conquistò la prima vittoria in carriera e la prima dell’Alfa Romeo nella celebre competizione siciliana. Negli anni venti l’Alfa Romeo ampliò con successo l’attività sportiva grazie a piloti del calibro di Antonio Ascari, Giuseppe Campari, Enzo Ferrari e lo stesso Ugo Sivocci.
Grazie alle vittorie sportive l’Alfa Romeo raggiunse una fama di livello internazionale e nel 1925 arriva il trionfo dell’Alfa Romeo P2 nel primo campionato del mondo di automobilismo organizzato nella storia che venne conquistato grazie alle vittorie di Antonio Ascari e Gastone Brilli-Peri. I due sconfissero i piloti delle case automobilistiche che dominavano i Gran Premi dell’epoca e che erano pertanto favorite per il titolo (Bugatti, Fiat, Delage, Sunbeam e Miller). Per celebrare la vittoria, sul bordo dello stemma della casa automobilistica milanese venne aggiunta una corona d’alloro.
La Moto Guzzi di Mandello del Lario
Oltre al mercato automobilistico, dedicato soprattutto alla nuova borghesia benestante, si sviluppa in Italia l’industria motociclistica che contribuirà a meccanizzare la popolazione italiana del dopo guerra. Il 15 marzo 1921 viene costituita a Genova, nello studio del notaio Paolo Cassanello in Corso Aurelio Saffi la “Società Anonima Moto Guzzi“, avente per oggetto “La fabbricazione e la vendita di motociclette e ogni altra attività attinente o collegata all’industria metalmeccanica”. Soci dell’impresa sono Emanuele Vittorio Parodi, noto armatore genovese, il figlio Giorgio e l’amico Carlo Guzzi, suo ex commilitone nella Regia Aviazione insieme all’amico Giovanni Ravelli, aviatore come lo stesso Parodi, deceduto l’11 agosto 1919 durante un volo di collaudo. Alla sua memoria si deve l’introduzione dell’Aquila ad ali spiegate nel logo Moto Guzzi.
La prima motocicletta è la Normale, con 8 CV di potenza. La neonata casa di Mandello debutta nelle competizioni nel settembre 1921, schierando due delle 17 “Normali” costruite, alla Milano-Napoli, ultima prova stagionale del Campionato Motociclistico Italiano su Strada. Le due moto, condotte da Mario Cavedini e Aldo Finzi, si comportano egregiamente, riuscendo a compiere senza rotture gli 877 km della massacrante gara di gran fondo.
Con la partecipazione alle gare, la marca si afferma sempre di più. La definitiva consacrazione viene dalla trionfale partecipazione al Campionato Europeo del 1924, nel quale la “500 C4V” conquista il primo, secondo e quinto posto.
Nascono i primi circuiti per le competizioni di auto e moto
Lo sport diventa il principale veicolo pubblicitario per i nuovi marchi, ma servono strade e circuiti permanenti per potere effettuare le competizioni. In Italia si corre soprattutto nelle gare in salita, come la Parma – Poggio Berceto che si disputa dal 1913 ed ha visto tra i protagonisti un giovane Enzo Ferrari che debutta nel 1919 con la sua CNM e l’anno successivo conquista il primo posto di classe ed il terzo assoluto con una Isotta Fraschini. In Sicilia nel 1906 nasce la Targa Florio, la gara è stata voluta, creata, finanziata ed organizzata da Vincenzo Florio, un palermitano di ricchissima famiglia affascinato dal nuovo mezzo di locomozione e già noto nell’ambiente per aver partecipato ad alcune competizioni di inizio secolo e per aver istituito, nel 1905, la Coppa Florio una corsa automobilistica in quel di Brescia. Teatro della corsa sono sempre state le strade siciliane ed in particolare quelle strette e tortuose che percorrono la catena montuosa delle Madonie ed era una delle più famose competizioni al mondo.
Il Circuito del Lario
In Inghilterra dal 1907 si disputa il Tourist Trophy una corsa motociclistica che si corre, solitamente la prima settimana di giugno, sul circuito stradale dello Snaefell Mountain Course, circuito di 60,720 chilometri sull’isola di Man. Nei primi anni del Novecento sullo stesso circuito si disputava anche una gara per automobili, ma questa venne poi trasferita in territorio britannico. Dall’anno della sua prima edizione sono state molte le vittime registrate tra i piloti che vi prendevano parte, colpa di una lunghezza di 60,7 km da percorrere tra case, muretti, pali della luce e differenti condizioni climatiche, il tutto da ripetersi per più giri a seconda della categoria, ma il richiamo della corsa sulle strade dell’Isola di Man continua inossidabile fino ai giorni nostri. Le industrie ed i piloti italiani sono spesso al top delle gare, c’è la voglia di fare una competizione simile a quella inglese nelle strade italiane e viene individuato un tracciato sulle Prealpi Lariane che verrà denominata “Circuito del Lario. La prima edizione della gara che si svolse il 29 maggio 1921 si dipanava su un circuito di 36,5 chilometri che attraversava Asso, Valbrona, Onno, Vassena, Limonta, Bellagio, Guello, Civenna, Magreglio, Barni e Lasnigo, da percorrere per 6 volte per una lunghezza totale di circa 220 km. Il tracciato comprendeva più di 300 curve e ben 550 metri di dislivello, con il punto più alto ai 754 m della Madonna del Ghisallo. Per la sua difficoltà veniva chiamato il Tourist Trophy italiano.
La prima edizione vide concorrere quattro categorie di motociclette divise per cilindrata: fino a 350, fino a 500, fino a 750 e fino a 1000 cm³; al termine si aggiudicò la vittoria assoluta Amedeo Ruggeri su una Harley Davidson. Ruggeri stesso se la aggiudicherà una seconda volta nel 1925 e, dopo di lui, solamente Pietro Ghersi, Tazio Nuvolari e Dorino Serafini se la aggiudicheranno per due volte. In seguito la corsa si tenne annualmente, nei mesi di giugno o di luglio, fino allo scoppio della seconda guerra mondiale con solo le eccezioni degli anni 1932, 1933, 1936 e 1937. A questa gara parteciparono motociclisti del rango di Achille Varzi, i fratelli Ghersi, Luigi Arcangeli, Omobono Tenni, Alberto Ascari e Nello Pagani. La media record del circuito è stata stabilita da Nello Pagani su Moto Guzzi Condor 500, vincitore dell’ultima edizione nel 1939 alla media di 84,101 km/h.
L’Autodromo di Monza
Il primo Grand Prix d’Italia era stato disputato a Brescia, ma si sentiva la necessità di avere un circuito permanente per potere provare auto e motociclette.
Come sede venne individuato un tracciato nel Parco Reale di Monza, sede ideale, vicina alle maggiori industrie dell’epoca tutte poste nel triangolo tra Torino, Milano, Brescia. La costruzione dell’autodromo fu decisa nel gennaio del 1922 dall’Automobile Club di Milano per commemorare il venticinquesimo anniversario dalla fondazione. La società allora proprietaria del parco, l’Opera Nazionale Combattenti, fu subito d’accordo dal momento che la nascita delle corse automobilistiche portava una notevole pubblicità alle case costruttrici. Fu costituita la società SIAS, Società incremento automobilismo e sport, a capitale privato e presieduta dal senatore Silvio Crespi. I lavori iniziarono il 15 maggio e in soli 110 giorni fu completato.
Il primo giro completo di pista fu percorso il 28 luglio 1922 da Pietro Bordino e Felice Nazzaro su una Fiat 570. Si trattava del terzo circuito permanente realizzato al mondo, preceduto solo dalla pista quella inglese di Brooklands del 1907 e da quella americana di Indianapolis del 1909 Il progetto preliminare prevedeva un tracciato a forma di “otto” della lunghezza di 14 km ma, a causa dell’impatto sul Parco Reale, si decise invece di approvare un progetto che utilizzasse in gran parte le preesistenti strade del parco e limitasse l’abbattimento degli alberi.
La realizzazione del nuovo impianto fu coordinata dall’allora direttore dell’Automobile Club di Milano Arturo Mercanti, la pista progettata dall’architetto Alfredo Rosselli venne costruita dall’impresa guidata dall’ingegnere Piero Puricelli.
Il tracciato prevedeva un circuito costituito da due anelli che potevano essere utilizzati insieme, alternando un giro dell’uno a un giro dell’altro con il rettilineo d’arrivo in comune e diviso in due corsie. I due anelli potevano essere utilizzati anche separatamente suddivisi in una pista stradale di 5.500 metri con sette curve, e un anello di alta velocità di forma ovale con due curve sopraelevate, lungo 4.500 metri.
Il 10 settembre 1922 si disputò il secondo Gran Premio d’Italia, la prima a svolgersi sul neonato Autodromo Nazionale di Monza. La gara fu disputata il 10 settembre 1922 sul circuito completo di 10 km e fu vinta da Pietro Bordino. Sugli spalti, nonostante il brutto tempo si contavano circa 200.000 spettatori provenienti da tutta Europa, compresi 2.000 operai FIAT giunti da Torino con un treno speciale, messo a disposizione dall’azienda affinché le maestranze potessero condividere la gloria sportiva dovuta ai loro sforzi lavorativi. Dei 31 iscritti, falcidiati dai ritiri, solamente otto concorrenti di presentarono sulla linea di partenza. La bandiera a scacchi segnò l’avvio della gara e, contemporaneamente, l’inizio della pioggia che accompagnò la prima parte della competizione.
La Fiat di Pietro Bordino prese la testa della gara già alla prima curva, tallonato dal compagno di squadra Felice Nazzaro. Nelle identiche posizioni, salvo i temporanei avvicendamenti dovuti ai pit stop per il rifornimento di carburante, il “Diavolo rosso” e il “Cronometro umano” percorsero gli 80 giri del circuito, lungo 10 km, per un totale di 800 km. La media del vincitore Bordino fu di 139,86 km/h, che realizzò anche il giro più veloce con il tempo di 4’05″0, alla media di 146,51 km/h. I premi messi in palio erano considerevoli e consistevano in medaglie d’oro commemorative, accompagnate dalla favolosa cifra di 100.000 Lire per il vincitore e di 30.000 e 40.000 Lire, rispettivamente per il terzo e il secondo classificati.
Massimo Campi
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